Qualche anno fa ho lavorato ad un progetto di ricerca per migliorare la
comunicazione medico paziente.
In questa occasione ho intervistato centinaia di malati oncologici, ad alcuni
dei quali era stato diagnosticato un cancro incurabile.
Quello che ho potuto constatare è lo stato di estremo isolamento in cui ci si
trova quando si è colpiti da una malattia terminale. L’isolamento è
bidirezionale: innanzitutto i malati si astengono dal discutere i loro pensieri
spaventosi, per paura di deprimere la famiglia e gli amici e, in secondo
luogo, chi sta vicino al malato evita di parlare dell’argomento per non
turbarlo ancora di più.
Ho imparato molto da questa esperienza e quello che mi ha colpito
particolarmente è stato il modo in cui alcuni malati riuscissero ad attribuire
un nuovo significato alla propria vita proprio dal confronto con la caducità
dell’esistenza.
Molti di loro mi hanno confidato il proprio dispiacere per aver aspettato fino
al momento di trovarsi il corpo crivellato dal cancro per imparare a vivere.
Questo dono prezioso mi ha portata, nel mio lavoro con i pazienti “sani”, a
metterli di fronte alla brevità ed alla unicità della propria vita allo scopo di
mutare il modo in cui vivevano.
“Anche se la realtà della morte ci può distruggere, l’idea della morte ci può
salvare”
Cit. I. Yalom
Menu